Borgo Rossini stories
Il quartiere si racconta attraverso le voci delle persone1972
di Mimmo Fiorino
Mi ricordo bene quando abitavo in via Catania, al 17. Nel palazzo c’erano solo case di ringhiera. Io, con la mia famiglia, undici persone in tutto, abitavo in un appartamento fatto di due stanze. Il gabinetto si trovava fuori, come tante case all’epoca, e ci si andava passando dal balcone, era pure condiviso con i vicini.
La mattina, quindi, partiva sempre la corsa per chi dovesse arrivare al bagno, per entrare prima degli altri, così in un attimo si formava subito una lunga fila, sembrava di essere in coda ai banchi di Porta Palazzo per fare la spesa. Poi ogni tanto capitava che, durante l’attesa, che sembrava non finire più perché eravamo tanti, qualcuno dalla fila gridasse «Hai finito? Me la sto facendo addosso!». Io e i miei fratelli ci mettevamo a ridere e in quel momento partivano le prese in giro.
Quella zona però mi piaceva in particolare d’estate. Con il caldo e il bel tempo le porte delle case restavano sempre aperte, così il ballatoio, che al mattino accoglieva la fila per andare al bagno, diventava una specie luogo di incontro fra vicini. Perché quando ci passavo capitava spesso che qualcuno dalle altre case mi chiamasse, «Mimmo entra e mangia con noi!», così dicevano. Ma era anche un’occasione per aiutarsi, per chiedere una mano agli altri o semplicemente scambiare qualche cosa. Ad esempio, una volta, mia madre aveva finito le cipolle in casa, che però le servivano in quel momento per cucinare. Quindi mi disse: «Mimmo vai dalla signora Rosa e chiedile se può prestarti una cipolla, che domani gliela restituisco». Ed era così, ci si prestavano le cose per preparare da mangiare, si passava dal ballatoio che ci aiutava a restare sempre in contatto tra di noi.
La sera era diverso, perché con altri ragazzi si scendeva in strada a giocare a pallone. C’era il bel viale tutto alberato dove, di giorno, vedevamo passare i carri funebri che andavano al cimitero. La sera, però, ci spostavamo in largo Reggio, insomma la «piazzetta» che è rimasta sempre un bel posto per portarci i bambini. Lì infatti potevamo avere un ampio spazio per giocare liberamente senza correre il rischio di rompere i vetri delle finestre.
Se guardo adesso il quartiere mi sembra cambiato tutto. Hanno costruito nuovi palazzi, realizzato rotonde e chiuso più di una via. Nel 1972, invece, mi pareva tutto più bello. Sarà perché, forse, la sensazione che vivevo quando sono cresciuto in Borgo Rossini era che fossimo tutti amici. Vedevo che ogni giorni ci si aiutava l’uno con l’altro a partire dalle piccole cose, come le cipolle passate da una casa all’altra grazie al ballatoio e arrivate a mia mamma che stava cucinando.
E proprio sul ballatoio, quando da piccolo mi ci affacciavo durante la giornata, sentivo parlare i vicini nei loro dialetti e capivo poco. C’era quello che parlava in barese, ad esempio, poi un altro che era anche lui pugliese ma parlava un dialetto diverso. Infine, magari, ne ascoltavo un altro ancora, che arrivava dalla Sicilia.
Era un casino, ma era bello.