Borgo Rossini stories
Il quartiere si racconta attraverso le voci delle personeRive gauche
di Federico Laface
Sul finire degli anni ‘90 c’era una zona che attraversavo quasi esclusivamente quando andavo verso il Parco della Colletta, un quartiere di case perlopiù basse e di ringhiera dove la Dora svolta a gomito sul suo lato orografico sinistro e – potendo vantare lo stesso fiume sui due lati – sembra posto su una sorta di penisola fatta apposta per mettere in difficoltà i sostenitori del feng shui. Due erano anche i particolari viali alberati che avevo notato, strade in cui le persone stanno (e camminano) al centro e le auto corrono ai lati, un esempio di viabilità piuttosto atipico a Torino.
Sapevo dove fosse l’ospedale Maria Adelaide e il cimitero Monumentale, scoprii l’esistenza di un Mercato all’ingrosso dei fiori (MIF) in corso Verona, ma stranamente (per l’epoca) capitavo da quelle parti soprattutto per mangiare alla sera con altri amici.
Avevamo inquadrato due posti economici, la trattoria “dei Sardi” in via Perugia (a gestione familiare come tuttora, ma con molta meno gente che la frequentava) e la Mensa popolare di via Mantova.
Quest’ultimo era un luogo veramente particolare, si trovava al piano terra di uno stabile all’angolo con via Reggio gestito da una cooperativa che sopra aveva una comunità-alloggio per disabili psichici, sotto un ristorante in cui lavoravano anche alcuni degli utenti. Enormi tavolate apparecchiate, cibo ma non solo, musica e jam session improvvisate. Menu completo a 7-10.000 lire, che poi diventò con un’equivalenza perfetta cinque euro e non dieci, come molti altri esercizi nel 2002 automaticamente fecero.
Un posto imprevedibile: potevi andarci in coppia, da solo o in gruppo, e ti trovavi a conoscere facilmente qualcuno che avevi a fianco, davanti o dietro quei lunghi tavolacci. Ai fornelli, Pia, la cuoca. Una figura rimastami impressa ad anni di distanza, un personaggio che poteva star bene ugualmente in una storia neorealista come in una striscia di un fumetto. Carattere umorale, per usare un eufemismo. A fine serata usciva in sala sfoggiando i suoi lunghi capelli grigi e sciolti, fumatrice accanita, credo di averla vista quasi sempre con la cicca in bocca mentre scambiava sguardi e brevi conversazioni con chi decideva meritasse dei suoi avventori. Se arrivavi tardi, un piatto lo tirava sempre fuori, rimproverandoti in napoletano, ma sempre con una certa comprensione e collaborazione.
Dopo che chiusero la mensa (nel 2008 mi sembra), la rividi al ristorante della Casa del Parco di Mirafiori, dove ancora c’è una sua foto, essendo poi purtroppo mancata.
Nel 2004 riuscii a trovare casa in Borgo Rossini. Un nome che vidi scritto per la prima volta sull’insegna della farmacia della piazza davanti al ponte omonimo, ma praticamente quasi nessuno mi capiva quando usavo questa dicitura per dire dove abitavo o dove accompagnarmi a casa. Regio Parco, Aurora, vicino al Caffè Rossini bisognava aggiungere. Il quartiere ancora non andava di moda, dopo il boom del Quadrilatero, stava venendo il tempo di San Salvario e poi si sarebbe passati a Vanchiglia. Mi addentrai nella vita di quartiere portando a spasso Kelly, il cane che avevo all’epoca, forse uno dei modi migliori per osservare cosa succede e cercare di capire gli equilibri di un nuovo contesto.
Scoprii il ferramiu di via Catania con quei balconi in ferro battuto uno diverso dall’altro e che riproducono libellule, api e mosche giganti. C’erano ancora molte botteghe, quelle con i serramenti fatti di legno che si chiudono a fine giornata agganciando i pannelli di legno alle porte e fermandoli con i lucchetti.
Falegnami, calzolai e persino un tappezziere e selleria per auto storiche all’angolo con via Parma (dove adesso c’è un locale con le altalene al posto delle seggiole) famoso tra gli appassionati di tutta Italia.
Ascoltai storie dal passato, una riguardava l’edificio della mensa di via Mantova, che a quanto pare era stato una caserma e anche una casa di tolleranza nei tempi precedenti alla legge Merlin. E in effetti anche nel mio palazzo, la vecchina del piano di sotto, appena riuscimmo a comunicare un po’, mi disse con un certo sdegno che – proprio nel mio alloggio – si era esercitato fino agli anni ‘50 l’antico mestiere, e in un certo senso tutto tornò, ripensando agli sfondi rossi e ai motivi che erano emersi mentre scrostavo i muri di quella che sarebbe diventata la mia stanza da letto. A quel punto la fantasia prese il sopravvento, portandomi direttamente dalla capitale sabauda ai lupanari di Pompei. Da Borgh dël Fum delle fabbriche e degli opifici, a Red Light District il passo può quindi essere breve. E la densità di nightclub tuttora presenti tra via Cagliari e via Catania può costituire un’altra, attuale, conferma di questa “vocazione”.
A proposito, una sera ci vidi entrare un calciatore della Juve che ora fa il commentatore Tv, lo riconobbi e lui mi guardò come ci conoscessimo davvero e lo scocciasse che l’avessi visto proprio lì. Ricordo un’altra notte, era inverno e stava nevicando: avevo fatto veramente tardi e, portando fuori il cane che pazientemente mi aveva aspettato quasi fino all’alba, vidi due ragazze che si facevano i selfie sul Lungodora all’altezza del ponte pedonale davanti al Campus, una in pelliccia, l’altra in completo leopardato. La collina di Superga sullo sfondo, il riflesso delle luci artificiali mischiate a quelle del nuovo giorno che nasceva, il fruscio del fiume, una visione quasi felliniana, marcata dall’accento dell’Est invece che da quello romagnolo. Risate rilassate, chiacchierammo un po’ mentre Kelly correva noncurante sulla pista ciclabile imbiancata.
Borgo Rossini è cambiato parecchio in questi ultimi quindici anni, ma forse ancora non troppo. Il vero salto ebbe inizio coi lavori per la passerella pedonale di corso Verona verso quello che sarebbe poi diventato il Campus Luigi Einaudi (CLE) dell’Università. I marmisti hanno quasi tutti chiuso per venire inesorabilmente ristrutturati o abbattuti rimodulandosi in loft o in studi di design o locali. Abbiamo avuto il WTC (War Trade Center) di via Foggia coi sui graffiti di richiamo internazionale nello spazio dell’ex fabbrica, Aspira prima che fosse distrutto e i ragazzi si trasferissero al di là di corso Novara. Il Teatro Espace e gli studi di architettura dove c’era lo stabilimento cinematografico Ambrosio, progettato nel 1912 dall’ingegner Fenoglio.
Nello stesso edificio il Caffè Basaglia resiste alle vicissitudini lavorando anch’esso sul tema del disagio mentale, senza però più quella squadra di calcio a 11 che univa mattarelli, studenti e rifugiati, l’Equipo Basaglia, in cui ebbi l’occasione di giocare per qualche stagione partecipando ai campionati di Terza Categoria e a quelli Uisp.
Negli anni sono arrivati il Cineporto della Film Commission, i “creativi” – grafici, fotografi, registi –, le gallerie d’arte, oltre ovviamente agli studenti del vicino Campus universitario. Un’ottima e intraprendente libreria ha creduto nelle potenzialità della zona e organizza spesso presentazioni e dibattiti interagendo con la vita del Borgo. Un simpatico ciclo-bar-torteria ha aperto laddove c’era una rumorosa fabbrica di tende di plastica per esterni, un must al quale anche io mi ero adeguato mettendone una sul balcone, e così rispettando la tradizione pop del quartiere.
La gentrificazione, sulla scia degli altri quartieri di tendenza, qui non ha sfondato completamente. Il Bar di Beppe in via Cagliari (indimenticabile Franco, il suo pingue grande cane nero) rimane autentico, con l’aggiunta del solo karaoke, ammesso che non lo facesse già prima. Anche senza avere mai avuto Iggy Pop o David Bowie, qualche musicista di discreta fama è venuto ad abitare in zona. Non siamo la Kreuzberg di Berlino – di turco abbiamo solo un kebabbaro all’angolo con via Reggio – ma i costi degli affitti sono cresciuti e gli hipster ormai vivono e regnano tra noi.
L’esedra davanti al ponte Rossini, vera porta del Borgo, da quando era andata via la banca sembrava non interessare più nessuno rimanendoci solo un unico storico bar. Ora vive all’avvento degli happyhour per studenti che hanno proposto una “nuova” fruizione, massiva, radente, seduta per terra, talvolta sdraiata, di questo magnifico scorcio di Torino.
La Dora rimane come barriera. Quel flusso d’aria continuo smosso dall’acqua che scorre, quella sensazione fresca o gelida che ti prende dal basso mentre attraversi il ponte, sembra riesca ancora a separare quello che succede dall’altra parte, una volta che ti avvicini a corso Regina, rumore-odore-smog, la città violenta che ti viene definitivamente sbattuta in faccia. Cibo, erotismo e un po’ di follia sulla riva sinistra del secondo fiume di Torino. Un quartiere che supera la divisione tra centro e periferia, cercando di non risultare uguale a tanti altri.
Un bel mix a cui aggiungere una prossima, desiderata e desiderabile, fermata della Metro2.