Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeLa scuola Gabelli: il centro del (mio) mondo
di Nunzia Del Vento
Avevo, forse, otto anni e quel cortile era enorme. Aprivo il portone di legno e attraversavo lo spazio quasi di corsa. La maestra si fidava di me e spesso mi mandava in missione. Lo scopo era ritirare dal collega Piovano i barattoli di miele che lui stesso preparava e confezionava.
Erano gli inizi degli anni Sessanta e la scuola Gabelli era una delle poche scuole cosiddette isolato. Risaliva al 1914 e negli anni Sessanta la pedagogia attiva era praticata dalla maggioranza degli insegnanti. Un duplice filare di tigli giovani e rigogliosi, un bellissimo pergolato di roselline bianche, due diosperi, un ciliegio adornavano lo spazio all’aperto. Vi erano le arnie con le api che producevano il miele del maestro Piovano, le gabbie con i conigli e le galline. La scuola aveva ancora le sezioni femminili e maschili, quasi sempre i maschi avevano maestri e le femmine maestre.
Io adoravo andare a scuola, mi piaceva studiare, leggere, imparare. Erano gli anni della massiccia emigrazione dal sud. Gli anni dei cartelli “Non si affitta ai meridionali” perché si pensava che coltivassero il prezzemolo nella vasca da bagno. Da bambina mi chiedevo come si facesse. Pur essendo figlia di genitori meridionali, per essere precisa solo la mamma, perché mio padre era già nato a Torino, non ho mai vissuto sentimenti di emarginazione. Non eravamo ricchi, io vivevo in via Scarlatti in una casa di ringhiera, ci si conosceva tutti e nella casa c’erano tanti bambini e bambine miei compagni di giochi. C’era l’arrotino che passava almeno una volta alla settimana, si piazzava nel cortile e urlava “ARROTINOOOO”. Mia mamma, che faceva la sarta, si faceva affilare le forbici.
Il tragitto tra casa e scuola era breve ed io lo percorrevo quasi sempre da sola. Era obbligatorio indossare il grembiule bianco e non sapevo spiegarmi perché qualche compagna non ce l’avesse. Scoprii solo più tardi nel tempo che erano assistite dal Patronato scolastico. La mia maestra, nonostante fosse di mezza età, aveva un’attenzione particolare per tutte le forme di arte e ci faceva ascoltare spesso musica classica, ci portava a teatro (l’ho amato da allora) e per noi delle case di ringhiera erano tutti stimoli nuovi e impensati. La maestra aveva sempre ragione! Una volta dissi a mia mamma che la maestra voleva mollarmi uno scappellotto e per tutta risposta mi presi una sventola. Ovviamente mi risultarono chiari i rapporti di potere.
La scuola cominciava il primo ottobre, si entrava alle otto e trenta e si usciva alle 12,30. Avevo tanto tempo per i giochi anche se c’erano i compiti da fare. La vita scorreva tranquilla. La televisione era arrivata da poco nelle nostre case ed io ero appassionata di cinema, a settembre, in coincidenza con la Fiera di Bari, al mattino alle dieci veniva trasmesso sempre un film. Per me era un rito, oscuravo la cucina e mi immergevo nelle storie.
Dopo tanti anni, per una coincidenza del destino, sono ritornata nella scuola Gabelli ma come dirigente scolastica. Ricordo chiaramente il primo giorno del mio lavoro, ritrovarmi in quel cortile mi ha travolto con infinite emozioni. Il tempo fu annullato da uno spazio. Ho avuto la netta sensazione di essere tornata a casa. Le cose erano cambiate, la popolazione scolastica stava subendo numerose trasformazioni. Non c’erano più le famiglie dal sud, ma tante famiglie provenienti dalle più svariate parti del mondo. Ricordo che per l’inaugurazione del museo scolastico una classe aveva preparato dei grafici a torta utilizzando vari tipi di pasta. I grafici mostravano le trasformazioni della composizione scolastica dagli anni Settanta ad oggi e i bambini italiani erano rappresentati dalle penne rigate. Si vedeva, e si può ancora vedere nel museo storico della scuola Gabelli, che nei vari grafici le penne rigate erano sempre meno ma aumentavano le conchiglie, i tortiglioni, i fusilli, le farfalle, le pipe, le mezze maniche, i rigatoni; una stupenda gustosa miscellanea.