Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeLa scoperta del cinema
di Giovanni Oteri
Cosa fosse un cinematografo in fondo già lo sapevo. Il sabato sera i miei mi portavano al dopolavoro Lancia in Piazza Robilant. Lì ho visto Le miniere di Re Salomone e il primo dei film di sparatoria che io ricordi, I magnifici sette, la cui colonna sonora è impressa in modo indelebile nella mia memoria. Ma è solo quando lasciammo borgo San Paolo per la Barriera di Milano che il cinema divenne curiosità, passione, desiderio e quindi scelta.
Era il 1964 e la Barriera era straordinariamente uguale a quella di oggi, ma anche profondamente differente.
Ci sono zone della Barriera dove il tempo è sospeso. Via Monterosa, piazza Foroni – oggi piazza Cerignola, dove ogni domenica arrivava il pullman dalla Puglia a servizio della più numerosa comunità di immigrati del Sud – e il reticolo di vie tra corso Giulio Cesare e corso Palermo intorno alla chiesa della Pace sono tutti luoghi ancora riconoscibili. Sono cambiati gli abitanti, ma le case e le vie, alcune delle quali hanno ancora il selciato, sono sempre quelle. Immutate.
Altre cose, nel bene o nel male, sono invece perdute per sempre: le strade vuote, una certa vita politica e associativa e, come vedremo, i cinema.
Come quasi tutti i bambini andavo a scuola da solo e attraversavo strade solitarie di cui non ho ricordi di traffico. Mi divertiva fare un percorso circolare, da via Spontini a via Santhià all’andata e via Monterosa, via Cherubini, via Montanaro e poi di nuovo via Spontini al ritorno. Alla “Gabelli” mi aspettava un maestro burbero, pieno di astio verso i meridionali, ma che nonostante questo rimanevo ad ascoltare incantato perché comunicava passione nell’insegnamento. Qualche volta andavo incontro a mia madre, che usciva dal turno di lavoro alla Lavazza, e lei si preoccupava che stessi attento ad attraversare via Aosta, perché la riteneva pericolosa. Ancora alcuni anni dopo, con la mia prima 500 di ennesima mano, non avevo alcun problema a parcheggiare sotto casa, in via Spontini. La Barriera di giorno lavorava e di notte dormiva, le vie potevano essere attraversate dai bambini, senza batticuori e drammi da parte dei genitori.
Cosa pulsasse dietro le strade deserte o povere di traffico non lo sapevo, ma mi incuriosivano quei negozi apparenti con le luci accese e poche o tante persone che all’interno discutevano anche animatamente. C’era la sezione del PCI nei pressi del mercato di piazza Foroni, ma c’era anche la sede del Partito liberale in via Renato Martorelli, e una sezione di Potere operaio in via Brandizzo. Oggi la politica e la cultura sono sempre più centralizzate e l’abbandono delle periferie, non da parte degli abitanti ma da parte dell’intellighenzia (che forse sa scrivere sulle periferie ma non le sa vivere), è uno dei problemi del distacco dei ceti popolari da chi vorrebbe rappresentarli. Grazie alla lungimiranza di alcuni amministratori, in quei tempi coraggiosi si poteva assistere ad un concerto di McCoy Tyner al Parco Sempione: un’offerta culturale di prim’ordine impensabile ai giorni d’oggi.
Ma nel mio micromondo di bambino, che aveva già conosciuto il cinema pensando tuttavia che ne esistesse solo uno, qualcosa stava cambiando. A volte il sabato sera, a volte la domenica pomeriggio, andavo al cinema con mio padre, ma invece di dirigerci verso un posto obbligato, cominciavamo a pellegrinare per la Barriera in cerca del film più interessante, che quasi sempre era un film di sparatoria. E così percorrevamo chilometri prima di scegliere dove entrare. Si partiva da casa, in via Spontini, e la prima tappa era lo Zenit in via Sempione. Se non fossimo stati fortunati, saremmo tornati indietro verso il cinema Palermo, proprio alle spalle della chiesa della Pace e da lì verso il Lanteri, il cinema parrocchiale, e poi ancora al cinema Adua, nell’incrocio tra corso Novara e corso Giulio Cesare. E se ancora il film non era quello giusto, c’erano ancora da esplorare i tre cinema di corso Vercelli: il Sociale, nei pressi di piazza Crispi, il Sempione, vicino al parco, e l’Eridan, molto più in là, vicino a via Ivrea. Quasi sempre saltavamo il Maior, una sala un po’ più pretenziosa delle altre perché era una costosa seconda visione, che stava in un luogo più residenziale all’incrocio tra corso Giulio Cesare e corso Palermo. Altre volte invece dallo Zenit ci dirigevamo verso la sala parrocchiale del Michele Rua, ancora oggi in funzione come cinema teatro Monterosa.
E così molti dei ricordi della mia infanzia e della prima adolescenza sono legati a quei cinema e alle lunghissime camminate con mio padre e alle volte in cui, con mia grande felicità, si aggregava anche mia madre. Al Lanteri, il cinema della parrocchia della Pace, ho visto l’ultimo film con i miei genitori: La conquista del West. Rigorosamente in mezzo a miei genitori, e sempre in platea perché la galleria costava di più: noi come tante famiglie di allora davamo al cinema l’importanza che si meritava e la Barriera di Milano ci ricambiava con una straordinaria offerta di pellicole.
Il sabato pomeriggio, dopo il catechismo, c’era sempre un film da vedere con gli amici al parrocchiale Lanteri e la vita di parrocchia, inevitabilmente molto più di oggi, era anche una strada per iniziare ad affrancarsi in qualche modo dalla famiglia. Ormai ero grande (facevo la prima media!), e così finalmente maturai la decisione. Scelsi un pomeriggio di pochi compiti. Qualche soldino in tasca frutto di un regalo, il film sognato da tempo già individuato, e mi avviai da solo verso il cinema Maior, proprio quello proibito che immaginavo fosse il più bello. Nel tabaccaio vicino comprai dieci caramelle per 10 lire, poi presi coraggio ed entrai nel cinema chiedendo un biglietto.
Mi aspettava Fantasia di Walt Disney e dopo nulla fu più come prima.