Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

La Barriera bianca

di Andrea Biagiolini

 

Chiamatemi Ismaele. Quel libro, uno dei primi ad aver letto per davvero, lo aveva adorato, prima di tutto per l’incipit. E tutto sommato una volta amava anche la Barriera, A., forse perché ci era nato, e vissuto per un po’ di tempo, forse perché non conosceva altro. Il suo mondo era tutto lì, insomma, quindi pigrizia prima del resto, e del resto stare in un ventre di vacca fa comodo a tutti.

Poi se ne era andato, più per orgoglio che per scelta consapevole, ed era iniziato il distacco, dagli amici, dai parenti, dal quartiere, dalla famiglia. Come se fosse colpa degli uni piuttosto che degli altri, o il suo carattere lo portasse a stufarsi prima che a capire i rapporti umani. Spostarsi, cambiare, tabula rasa. Anche nei suoi Nuovi Luoghi tutto sommato usava i Vecchi Modi: qui, tutto giù, come nel film Amici Miei. Solo che nel film lo dicevano per scherzo, lui lo agiva. Dal paese scelto, fuori Torino, se ne era andato dopo nemmeno troppi anni, tornando in città ma in altro quartiere; si sentiva felice, appagato, ed ogni tanto ci tornava a vedere la Barriera, dai suoi.

“La Barriera mi piace ma non ci vivrei, perlomeno non più”. Questione di gusti, e la Barriera gli sembrava ormai come Moby Dick per Achab: qualcosa di lontano, ostile, temuto, sfuggito e però cercato, come se A. volesse trovare il modo di esorcizzarla, cacciarla e vincerla, ma con pietà e timore. Era il suo passato, c’erano tutti o quasi tutti, anche se non li andava a cercare, c’era lui stesso.
Passato un altro po’ di tempo nuovo cambio, nuovi lidi e quartiere, uno di quelli che fanno dire “Abbe’, abita in collina, i posti dei ricchi“ e lì si arrabbiava alquanto. A. veniva dalla Barriera! Figlio di operai! E dalla sua coffa, dal suo ponte, come Achab volgeva lo sguardo e la cercava, la trovava e riguardava ogni volta che avesse occasione di ripassarvi. Con timore, con affetto, con odio, con nostalgia degli anni svaniti; e come Moby Dick per Achab ogni volta la vedeva diversa, in quanto la osservava come immaginata o temuta e non per come fosse.

Era invece diversa. Una viabilità del tutto stravolta, una popolazione mutata, con gente immigrata più di quanto fossero immigrati i suoi ed i genitori dei suoi amici, case sporche e quartieri ormai sconosciuti; però dentro allo stomaco un senso di languore, di struggimento quasi, per non essere più lì o forse solo per non essere più giovane. Era la Barriera Bianca, la Balena sfuggente, cambiata anch’essa esattamente come lui. Si osservavano, si avvicinavano senza capirsi più ma in realtà si conoscevano e si comprendevano sin troppo bene.

Nel suo vecchio liceo era finita sua figlia, guarda caso, e visitandolo aveva constatato che non era cambiato nulla. Letteralmente. Manco le scritte di quarant’anni prima avevano tolto dai muri interni. Forse quello era il ventre della Barriera Bianca, che come la balena di Pinocchio tratteneva il passato senza rigettarlo.
Ormai, si conoscevano e si ignoravano, come una vecchia coppia o due ex fidanzati che con cortesia si dicono buongiorno e buonasera per finta educazione e senza amore. E ci sarebbe voluto tornare, da solo, ad abitare lì, lo sapeva benissimo A. od Achab che fosse, non poteva prendersi in giro per sempre. Il tutto, poi lo scoprì, era simboleggiato da un murale strambo di tale Millo, che aveva trovato in corso Palermo, grande come una casa (letteralmente), con un cuore dal quale sbucavano tubi blu verso il cielo, blu come il mare che Achab solcava senza sosta da secoli cercando la Barriera Bianca.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini