Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

 

Barriera di Milano, ricordi di viaggio

di Marco Paganin

 

Iniziando un ipotetico viaggio a ritroso nel tempo, per le vie di Barriera, mi piacerebbe partire dalla Scuola Elementare Ungaretti di via Corelli.
Ricordo di quei giorni spensierati, i giochi con i miei compagni, la settimana, il salto dell’elastico e le partite a colletto con le figurine dei calciatori Panini, ma soprattutto ricordo quando improvvisamente bisognava scappare da scuola per un allarme bomba, episodio abbastanza frequente negli anni ’70. Tutti noi bambini iniziavamo un lungo tragitto per le vie del quartiere al seguito della mitica maestra Nappi, facendo poi rientro a scuola con la consapevolezza, se non altro, di aver perso un dettato o la tabellina del 7.

Proseguendo il mio nostalgico viaggio verso il cuore di Barriera, farei tappa in via Cruto, dove adesso campeggiano saracinesche chiuse e banglamarket una volta c’era la drogheria di Rapalino, ma soprattutto la polverosa panetteria di Malvina, dove noi bambini di Barriera facevamo a gara per comprare un pezzo di pizza con le cipolle, le caramelle sukai o i tanto ambiti senatour, meglio conosciuti come butun del preive.
Giungendo in via Cimarosa e dando un fugace sguardo verso destra mi accorgo come lo scenario sia profondamente cambiato: dove adesso ci sono i giardini e nello “stradone” di via Petrella il centro sportivo del Bagneux, una volta c’erano moltissimi orti. Ricordo un giorno, mentre giocavamo a tirarci i cartocci con le cerbottane, io ed alcuni miei amici avevamo trovato un oggetto strano, a forma di ananas color rosso mattone. Immediatamente presi dal panico, ce ne siamo sbarazzati lanciandolo contro la recinzione dell’orto di Giovanni De Amicis, papà del mio amico Marco, che riconobbe subito l’oggetto, rivelatosi poi una bomba a mano della Seconda Guerra Mondiale, la famosa “balilla”. Giovanni ci spiegò del pericolo che avevamo corso, intimandoci di non toccare assolutamente cose di cui non conoscevamo l’esistenza, poi riconsegnò l’ordigno ai carabinieri.

Tagliando dritto per via Casella vorrei soffermarmi un po’ per ricordare i giochi che noi bambini facevano su quel marciapiede. Il primo gioco che mi viene in mente è il “papalo”: si piazzavano lungo un’unica linea retta tracciata sul terreno le birille, questa linea terminava con un cerchio dentro il quale si metteva un’altra biglia, solitamente una “cocis”. Da circa 5 metri si tirava la propria biglia nel tentativo di colpirne una sulla riga, se si bocciava si vincevano tutte le birille a partire dall’ultima colpita. Nel caso in cui il giocatore riusciva a prendere quella all’interno del cerchietto, vinceva tutte le biglie, c’era inoltre un particolare curioso, se la birilla finiva all’interno del cerchio al tiro successivo il tiratore lo faceva mettendosi in piedi e lasciando cadere la sfera di vetro dall’alto.
Un altro gioco era quello della “ligia” che era una pietra liscia e piatta, con la quale si cercava di colpire un mazzetto di figurine poste in mezzo al marciapiede ad una distanza di 10 metri.

Continuando il mio pellegrinare per le vie del quartiere farei tappa in via Brandizzo, dove c’era la cartoleria Magis, due piani di giochi, un vero e proprio paradiso per noi bambini e la macelleria Diviccaro.
Girando a destra in via Paisiello, finalmente si arriva nel luogo dove noi ragazzini trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo libero, il mitico Oratorio Michele Rua. Nel primo cortile l’attrazione principale era la “gamale”, una giostra formata da un palo in ferro su cui giravano dei seggiolini a forma di triangolo, si faceva a turno per salirci sopra, con la speranza di uscirne indenni alla fine del giro, infatti la giostra veniva anche chiamata “sbucciaginocchia”. Sulla sinistra c’era la sala giochi, con calciobalilla, tavoli da ping pong e da biliardo, dove però si poteva accedere solo se l’attento e vigile Don Martano “certificava” che la domenica mattina eri andato a Messa. Di fianco alla sala giochi c’era il gabbiotto dove con 100 lire si poteva fare rifornimento di caramelle di Topolino, liquirizie e cicciopolenta.
Ricordo ancora le domeniche pomeriggio, quando insieme ai miei amici andavamo al cinema dell’oratorio a vedere la saga dei film di Bud Spencer e Terence Hill, mia mamma ci preparava un sacchetto di semi di zucca tostati e molto salati e alla fine della visione, facevamo rientro a casa con labbra gonfie, degne di Kunta Kinte, il personaggio di “Radici”.

Concluderei questo racconto ricordando le indimenticabili partite giocate la domenica al campetto dell’oratorio, quando non giocava il PGS Monterosa ovviamente. Eravamo tutti in trepida attesa, Don Martano ci consegnava le maglie, che non profumavano proprio di bucato, e un pallone logoro che il più delle volte aveva la camera d’aria che fuoriusciva da una cucitura. Finalmente dopo il fischio d’inizio si iniziava a calcare il campo, che non era proprio un prato all’inglese, ma ci regalava una gioia immensa.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini