Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeLe case di via Cruto 18
di Daniela Calvo
Sono nata a Torino ai primi degli anni ’50 in quella che allora era la principale Maternità, il Sant’Anna, ma se mi chiedono dove sono nata rispondo: «In via Cruto». Sì, perché in via Cruto al n. 18 c’era l’alloggio popolare che avevano assegnato ai miei genitori. Era ed è tuttora un grande comprensorio nato grazie al Piano Fanfani per l’edilizia popolare, che però un architetto di buon gusto aveva dotato di una portineria, spazi verdi e la possibilità di parcheggiare l’auto, anche se erano ancora rare considerato che la maggior parte degli abitanti di via Cruto era composta da lavoratori a stipendio fisso.
Nel cortile, anzi è meglio dire nei cortili, trascorrevo la maggior parte del tempo pomeridiano dopo aver fatto (velocemente) i compiti. Restavo in compagnia delle amiche giocando, cantando e andando in bici.
Qui sono diventata adulta e solamente a 25 anni, sposandomi, mi sono allontanata, ma non troppo!
La zona attorno alle nostre case era ancora campagna: non era strano veder passare in via Cruto le mucche che dai prati tornavano nelle cascine annunciate dai loro campanacci, d’altronde capitava di andare con le amiche a prendere il latte appena munto.
Le case sulla via erano interrotte da orti e proprio davanti al nostro portone, al di là della strada, c’era un certo signor Panero. Capitava che mia madre, un po’ in ritardo con il pranzo o la cena, mi dicesse: «Va’ giù da Panero e cata due tumatiche» (vai giù da Panero e compra due pomodori).
Ma non mancavano i negozi in via Cruto. C’era la lattaia, la signora Caterina Toja, che ti vendeva il latte versandolo con un mestolino nella bottiglia portata da casa, poi Rapalino, con un ampio assortimento di prodotti venduti con professionalità e gentilezza, quindi il negozio di frutta e verdura del signor Toja, fratello della lattaia. Infine il vinaio che faceva anche osteria, dove la tua bottiglia veniva riempita dal rubinetto corrispondente al vino scelto: barbera, dolcetto, bianco. Ricordo anche la panetteria con le biove, i bocconcini, i grissini rubatà, l’immancabile pizza bianca. In seguito arrivarono un macellaio, un barbiere, una pettinatrice. All’angolo con via Cimarosa c’era l’edicola, il cui gestore per anni ha portato la Stampa nelle buche di via Cruto.
La centrale elettrica con le sue grandi resistenze attorcigliate, che uscivano dal muro di cinta, si trovava alla fine della via, prima del ponte sul trincerone. Sul marciapiede della centrale c’era la fermata del pullman F, che attraversava tutto il centro fino alla Crocetta, sostituito in epoca più recente con due linee, quelle del 57 e del 58.
La ferrovia rimase attiva per molto tempo, allietando gli abitanti di quella zona, soprattutto i bambini, con i fischi e il fumo dei treni merci che andavano o venivano dallo Scalo Vanchiglia.
Dal mio balcone ancora vedevo piazza Respighi (prima della costruzione delle case del Toro) e le mie amiche andare e venire dal Michele Rua. L’oratorio femminile si trovava in una vecchia cascina in via Paisiello di fronte alla casa delle suore: da casa mia ci volevano dieci minuti passando per via Viriglio, dove regolarmente aspettavo che la mia amica scendesse dal 5° piano dove abitava.
Io ero al terzo piano, senza ascensore naturalmente, e da qui al mattino andavo a scuola, da sola, alle elementari Abba, scuola storica di Regio Parco, percorrendo via Delle Maddalene. Di fronte la scuola, il grande portone della Manifattura Tabacchi ex residenza sabauda, dove aveva lavorato come “tabacchina” la zia che aveva allevato mia zia profuga della Croazia.
Poi, con l’aumento della scolarità, ne costruirono una nuova, prefabbricata, in via Corelli (continuazione naturale di via Cruto), così noi alunni ed anche la maestra ci trasferimmo alla scuola A.S. Novaro.
La mia maestra, Anna Bruni, fu moderna e al tempo stesso tradizionale: ricordo le divisioni, mio terrore, insegnate col riporto a memoria, le ricerche sul Piemonte con le carte delle caramelle Baratti incollate sul quaderno, i lavori manuali in vista delle festività e i balletti e i canti nei saggi di fine anno. Durante una ricerca sull’intitolazione delle vie, dove io e i miei compagni abitavamo, scoprii che Alessandro Cruto fu un inventore, quello che in Italia, dopo Edison, ideò la lampadina.
Anche alle scuole medie ci toccò trasferirci. Iniziate nelle aule della Alma Mater vicino alla chiesa di san Gaetano, in terza venimmo spostati nella nuova sede, la Corelli, in corso Taranto, che completava l’area delle scuole. La zona si stava popolando di immigrati, necessitavano case e servizi.
Sparirono poco per volta gli orti e via Cruto si riempì di abitazioni, qualche lasciò il posto ad altri. Non si videro più le mucche e le cascine. Se ora volete vederne una, la trovate in via Cherubini all’interno di un complesso di case, nascosta agli occhi di chi passa fuori dal cancello del condominio, restaurata ma con la stessa fisionomia.
Dopo qualche anno nacquero le case di corso Taranto. Aprì il nido, altre scuole si aggiunsero: le materne di via Ancina e via Mercadante, la elementare Ungaretti succursale della Novaro, la media di via Ancina e più a nord la elementare Carlo Levi. Di fronte, tra via Monterosa e via Pergolesi, vide la nascita della parrocchia della Resurrezione con l’indimenticabile Don Beppe, mentre tra i palazzoni di corso Taranto la chiesetta di legno offriva aiuto in particolare a mamme e bambini in difficoltà bisognosi di aiuto scolastico. Ma l’elenco rimane incompleto.
Ora nelle case di via Cruto 18 non ci sono più i vecchi assegnatari ma neanche i loro discendenti. Poco per volta hanno lasciato quegli spazi perché non ritenuti adeguati alle esigenze delle nuove famiglie: niente ascensore, niente parcheggio per la seconda auto di famiglia e tanti lavori per ammodernare gli appartamenti.
Famiglie più modeste, di provenienza diversa, entrano ed escono da quel portone così caro nei miei ricordi.