Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeIl gigante di Barriera
di Riccardo Franco
Lo guardi da lontano e ti spaventa. In tanti ne parlano da sempre, scrivono di lui su riviste, quotidiani, cronaca.
Barriera di Milano per me è un po’ come un gigante. Un gigante con parecchi anni alle spalle. È grosso, imponente, sempre attento; ci muoviamo ogni giorno fra le pieghe della sua giacca e fra i ciuffi della sua barba. Un gigante che appare scorbutico, scontroso. I suoi vestiti non sono ricchi, ma anzi un po’ logori, rattoppati e fumosi. Se però arrivi, anche da lontano o straniero, è accogliente e non si aspetta nulla da te.
Al gigante poi, tutti lo sanno, piacciono i bambini: non da mangiare, s’intende! Gli piace sentirli saltare sulla sua pancia, correre sulle spalle, e quando arrivano ai piedi comincia a ridere fortissimo, facendo svolazzare intorno stormi di piccioni. Pur non avendo da offrirgli grandi spazi verdi e giostre, ama giocare con loro, negli angoli del suo taschino, vicino all’orlo dei pantaloni, dove i bimbi devono allenare la fantasia per trasformarli in luoghi magici fuori dal tempo.
Ho scoperto la natura del gigante con il passare del tempo, vivendo in Barriera, e negli ultimi anni ho avuto la conferma: sono comparsi sui muri i suoi disegni, murales di Millo che raccontano i giochi che lui fa con i bambini.
Ho avuto la sensazione della sua presenza quando per la prima volta ho messo piede in Barriera, più di 20 anni fa per un importante appuntamento che avrebbe cambiato la mia vita. Arrivavo da Mirafiori, dove ancora abitavo e, stranamente in anticipo, dalla fermata del 57 di via Mercadante mi sono avventurato per le vie in una lunga passeggiata. Dovevo andare all’oratorio Michele Rua per iniziare il servizio civile, ignaro che quella sarebbe diventata poi la mia seconda casa. Passeggiavo tra via Paisiello, via Brandizzo e, forse era solo una suggestione, ma davvero mi sembrava di avvertire la presenza di un gigante, tutt’intorno e sotto i piedi. Respirava con le persone del quartiere, viveva le loro stesse vite e incertezze e assumeva le loro stesse sembianze. Ho scoperto la “grandezza” del quartiere, le sue risorse e i suoi desideri: tutto davvero gigante!
Ci sono state poi volte in cui, per un motivo o per un altro, ho avvertito distintamente il sorriso del gigante buono. Ricordo una sera, sarà stato il 2003, al termine di uno spettacolo dei ragazzi del catechismo delle medie al Teatro Monterosa. Il gigante gongolava, fiero e soddisfatto: una bellissima scenografia egizia regalata dal Teatro Regio e i ragazzi che sul palco ricevevano gli applausi. Erano pieni di quel misto di adrenalina, timore e soddisfazione che solo il palco può dare, catapultati per una sera in Egitto, nella storia di Giuseppe il re dei sogni. La maggior parte di quei ragazzi probabilmente non sarebbe più salita su un palco, non avrebbe più recitato così, ma la voglia di poter coltivare sogni e passioni è sicuramente rimasta e, nelle case, nelle scuole del quartiere, il gigante ha continuato a sognare con ciascuno di loro.
Ci sono stati tanti altri momenti in cui abbiamo riso insieme, io e il gigante. Mi ha regalato Marina, mia moglie e mamma dei nostri quattro bimbi, una nuova famiglia, mi ha fatto scoprire il bello delle giornate a piedi, delle cantate con la chitarra nei cortili dell’oratorio, delle serate con i cognati e gli amici e non mi ha mai fatto perdere la voglia di girare in bici. Abbiamo aspettato la Fiaccola Olimpica, corso la StraMonterosa e giocato a calcetto. Abbiamo anche pianto insieme nei momenti bui, ma la ricchezza di questo quartiere è che è una comunità. Soprattutto nei momenti tristi ti accorgi di non essere solo e, se divisa, la tristezza diventa meno pesante.
L’ultimo lungo sorriso del gigante l’ho avvertito pochi mesi fa, il 4 maggio 2020, quando al termine del lockdown io e Marina abbiamo finalmente portato i bimbi fuori casa a fare una passeggiata per le vie. Era la loro prima uscita, il primo giro a salutare gli amici, a rivedere i cugini e a mandare baci ai nonni. Tutti con la mascherina nuova, appena confezionata e con le gambette non più abituate a fare lunghe corse. Non lo dimenticheremo mai: un bel sole riscaldava i muri e le strade ancora un po’ deserte e quasi incredule di quel nuovo movimento. Che stupore vedere la naturalezza con cui i bambini si sono incontrati in cortile e hanno cominciato a giocare, come se nulla fosse accaduto, come se anziché dei mesi la chiusura fosse durata poche ore.
Il gigante, a lungo rimasto intorpidito, rattristato e senza speranza, si stava risvegliando. La vita stava riprendendo forza, energia e il suo sorriso poteva riprendere forma. Di nuovo ci sarebbe stata l’allegria dei bambini, il vociare delle mamme e dei papà, le corse per le vie, i nonni ai giardini e davanti alle scuole e un piacevole solletico sotto i piedi di corse corsette e saltelli, quelli che tanto per mesi gli erano mancati.