Barriera stories

Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle persone

Sulle strade oltre il cortile

di Maurizio Tropeano

 

Dicembre 1971, la domenica prima di Natale è un ricordo indelebile nella mia memoria. Tutto inizia alle nove del mattino in via Gottardo alla fermata del 57 accanto al cinema Zenith. Mio padre sceglie la festa per la consegna dei regali di Natale nella sua fabbrica per farmi conoscere la città oltre il cortile. I miei genitori non hanno la patente e si spostano con bus e tram. Mi piace restare incollato ai finestrini per osservare la città che si muove, ma il giorno è speciale perché mio padre si improvvisa guida turistica raccontandomi le attrazioni di Barriera – l’ospedale, il mercato Foroni, la Ceat di corso Palermo – e poi, superato il confine invisibile del ponte sulla Dora, quelle del centro: “Questo era il Palazzo del Re”. Siamo appena scesi in via XX Settembre e il mio papà mi porta alle Porte Palatine e dentro il Duomo. Poi prendiamo il tram che attraverso via Garibaldi, piazza Statuto e corso Francia arriva alla Tonolli.

Che emozione entrare in fabbrica: la scatola del Meccano, la fetta di panettone, il giro in mezzo a giganteschi macchinari per un giorno silenziosi. I laminatoi che di solito ronzano fastidiosi come gigantesche mosche quel giorno diffondono le note di Bianco Natal. Jingle Bells suona al posto del rombo delle presse. Operai con il vestito della festa sorridono davanti a quelle macchine che, normalmente, li fanno sudare e imprecare, a volte anche bestemmiare, mentre trasformano i pezzi d’acciaio in tubi. Mio padre cerca un casco di protezione, lo adatta con cura alla mia testa, mi prende per mano e mi aiuta a salire fino all’abitacolo della gru. Stretti uno all’altro con le mani più grandi che guidano le più piccole sui comandi.

“Papà! È grandioso”. Mio padre sorride – “ne parliamo a casa” – ma nel viaggio di ritorno è silenzioso, assorto nei suoi pensieri anche se si sforza di indicarmi i giardini Reali e “l’asilo di via Mercadante dove sei stato quando eri più piccolo”. Una volta a casa mi prende in braccio, mi guarda negli occhi, chiama al suo fianco mia madre e mi spiega: “Il lavoro, questo lavoro è dignità e anche libertà. Io e la mamma lavoriamo e risparmiamo perché ti sogniamo laureato e con un bel lavoro. E tu dovrai solo studiare ed essere sempre promosso con bei voti. D’accordo?”. Rispondo sì ma ho solo voglia di scendere in cortile perché dalla finestra del balcone arrivano le urla dei miei amici che giocano a pallone.

Via Cruto 18 è una piccola città nella città. Piccoli giardini, alberi, macchine e cemento, protetti da una cancellata che racchiude 6 palazzi di case Gescal fine anni ’50, uno dei dipendenti comunali e un complesso residenziale di mattoni rossi e grandi balconi. Uno spazio protetto dove i tempi della fabbrica dettano quelli di tante famiglie, compresa la mia: pranzo alle 12 con il turno del pomeriggio, cena alle 19 con il turno del mattino e la sveglia che suona alle 4,30.

Alle medie, per scelta dei miei genitori, frequento la scuola dei salesiani in via Paisiello, il Michele Rua, un altro nuovo mondo. Apprendiamo in fretta e siamo tra i più bravi della classe, così usiamo il tempo libero per partire alla scoperta del quartiere con la scusa di andare all’oratorio a giocare. E lì c’è anche un sacerdote che ci fa scoprire la bellezza di aiutare chi ne ha bisogno e anche di non aver paura di sfidare i potenti. E così si mette alla testa di un piccolo plotone di adolescenti e chierichetti che con gli abitanti delle case popolari di corso Vercelli vanno ad occupare un’area verde, accanto al parco Sempione, che gli squali del mattone vogliono cementificare. E c’è il cineforum. Fragole e sangue, esalta la mia voglia di cambiare la scuola del padrone. Uomini contro apre un piccolo spiraglio al pacifismo e all’antimilitarismo. Trevico-Torino viaggio nel Fiat-Nam, rende ancora più forte il mio impegno.

E il sogno di libertà di Easy Rider. Già, la strada. Senza moto ma a piedi, io e Franz giriamo in lungo e in largo per Barriera. Le strade: Vercelli, Martorelli, Giulio Cesare, Palermo e Novara. Vediamo gli spazi verdi lungo via Aosta diventare case. E poi i cinema: Zenith, Major, Palermo, e il Sempione. Una sala storica – nel 1926 era lo Ziviani – ma che io ricordo per Profondo Rosso e i brividi di paura provocati dal film e dagli scherzi feroci dei miei amici. E poi il Sociale di corso Vercelli, classe 1923 e sopravvissuto per 60 anni. In quelle sale si possono vedere anche film non impegnati e quelli messi all’indice dal movimento degli studenti. Un pomeriggio, senza Franz, faccio il grande passo: entro al Sociale per vedere la Febbre del Sabato Sera. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, quando si accendono le luci, incrocio lo sguardo divertito di una ragazza delle Magistrali conosciuta ad un coordinamento di studenti medi. Il primo pensiero? “Noo, sputtanato a vita”. Lei, invece, sorride. Una bibita per commentare il film. Una passeggiata verso il parco Sempione. Una panchina. Un bacio. Una storia.

Wikimedia Commons/Progetto artistico Opera Viva in piazza Bottesini