Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeBarriera in chat
di Anna Rosa Marengo
Siamo nati a metà degli anni Sessanta, quando bastavano due vie (nel nostro caso via Padova e via Pedrotti, al confine fra Aurora e Barriera) per formare quasi una intera classe. Una comunità di bambini che ha imparato nella semplicità degli adulti di riferimento a stare insieme, a crescere, a condividere e poi a uscire nel mondo, a fare esperienze e poi…
E poi a tornare – a cinquant’anni suonati – a fare comunità. In chat. Siamo “quelli del ‘66”: tutti nati e cresciuti in Barriera o giù di lì e oggi sparsi nel mondo o tornati a vivere a 50 metri dalla casa dove siamo nati (come nel mio caso). Nessuno è mai andato via davvero e nessuno è mai restato fino in fondo.
Abbiamo anche un sindaco – proclamato per acclamazione – ed io me la tiro un po’ perché lui è il fratello che non ho mai avuto, quello nato nel mio stesso palazzo, quello che pur di giocare insieme a tutte le bambine dello stabile (era in netta minoranza) accettava di salire a casa mia a guidare l’ambulanza delle bambole: per l’occasione stavano sempre male ed era un via vai di sirene da far impallidire i tempi moderni. Quello che si è seduto vicino a me il giorno del mio matrimonio con Giovanni e non è più andato via, il padrino di mio figlio, l’amico con cui ho attraversato mezza Italia per andare a cercare la nostra maestra delle elementari, che alla fine dell’incontro ci ha detto che non eravamo più soltanto i suoi – primi – ex alunni ma anche i suoi amici.
Come tutte le chat che si rispettino ci mandiamo un sacco di video e barzellette, ridiamo molto, ci aggiorniamo sugli eventi del “nostro” condominio virtuale (compleanni, onomastici, anniversari) e quando qualcuno decide di riordinare un cassetto parte il giro delle foto condivise con l’immancabile gioco “Indovina chi”. Ma il sindaco non gioca perché ha l’anagrafe del quartiere cesellata in testa, se mostri un cedimento ti apostrofa con un incredulo “Ma come? Non ti ricordi di Ciccio? È stato in classe con noi nell’intervallo dell’ultimo giorno di scuola in quinta elementare”. “Ma guarda che forse ero assente”, provi a obiettare, ma lui risponde “Era assente solo Deborah perché suo fratello le aveva passato gli orecchioni”.
C’è chi ha conservato la prima tessera della Labor, chi il quaderno delle dediche delle vacanze comunitarie a Charbonniere, chi i biglietti delle partite di basket della China Martini o della Berloni, chi non ha buttato via nemmeno uno spillo e si lascia pazientemente canzonare da tutto il gruppo forte della consapevolezza che è tutta invidia.
Scrivo e ho un occhio alla chat: trilla allegra e mi ricorda che la nostra Barriera è viva e vitale. Ci ha visti nascere, si è occupata di noi e della nostra istruzione: l’asilo a Gesù Operaio, le elementari alla Lessona, le medie alla Giacosa; tutte succursali. Barriera ci ha respinto facendoci credere di essere troppo stretta per la nostra fame di indipendenza ma ci ha aspettato – ciascuno con i suoi tempi e le sue modalità – e poi ha festeggiato con noi i primi trenta anni e poi i cinquanta. Ora sta pronta in campana per tutto quello che deve arrivare. “Quelli del ‘66” oggi. Qui e ora.