Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeAnni ’60
di Anna Tolomeo
In Barriera sono nata negli anni ’60. Erano anni di boom economico oltre che demografico. I nostri genitori emigrati dal Sud lavoravano a pieno ritmo con la prospettiva di un futuro migliore: il nostro ma anche il loro. Quella generazione ha potuto migliorare concretamente il proprio stile di vita, vedendo nell’arco di alcuni anni realizzati vari dei propri obiettivi.
Barriera era un quartiere difficile sì, ma anche operoso, e in quegli anni si è andato arricchendo di attività commerciali ed artigiane, grazie alle quali molti abitanti si sono elevati dalla povertà. Nascevano le prime scuole materne, purtroppo non frequentate da molti di noi piccini, che siamo invece cresciuti in casa, un po’ anche in cortile, con mamme che spesso lavoravano in nero. Della mia ricordo la schiena, piegata tutto il giorno sulla sua macchina da cucire di ghisa nera e legno. Oggi ne vediamo tante esposte in giro come oggetti d’arredo vintage, un po’ Liberty, ma quel pedale pesantissimo da schiacciare quante ginocchia ha distrutto a donne che, oggi anziane, non riescono più a camminare.
Frequentare Barriera non sempre era sicuro: bisognava aggiornare costantemente i genitori su dove andavi e con chi senza social virtuali ma il quartiere, come nei paesi di provincia, ti riconosceva ed il passaparola fra vicini era un classico. Siamo cresciuti frequentando gli Oratori: la “Spera”, il “Reba”, il “Michele Rua” che, in una visione spirituale condivisa, organizzavano il tempo libero di noi ragazzi.
Le scuole, in cui sono nate amicizie che durano tutt’ora: la elementare Sabin, la media Baretti, con la mitica Professoressa Mara Pansini, letterata e psicologa, donna modernissima e appassionata. Fiera delle sue idee così innovative, ci spronava ad apprezzare noi stessi più di quanto non fosse in grado di fare la famiglia: e poi via alle superiori, dove l’essere di Barriera non sempre era ben visto.
La media Baretti (ora Bobbio) fra le prime, organizzò un “tempo pieno” riempiendolo di attività culturali, manuali e sportive integrative allo studio scolastico, grazie alle quali abbiamo cominciato a conoscere “l’altra Torino”, visitandola nella sua meravigliosa architettura, i suoi parchi e le sue attività industriali e di servizi.
Le uscite erano seguite da laboratori di pittura, scultura, sviluppo di fotografie, interviste, che abbiamo poi raccolto in libro che ancora conservo: Tempo pieno e metropoli.
Anche così ho cominciato ad amare Torino in tutti i suoi aspetti: perché la famiglia “immigrata”, pur essendo grata a Torino per il lavoro, trasmetteva amore per la terra d’origine e per tutti gli affetti familiari che lì erano rimasti.
Crescendo tutti noi abbiamo quindi costruito il nostro presente, chi “oltre” Barriera, chi restando al suo “interno”. Ora Barriera è quartiere multietnico: a tutti i giovani che qui stanno crescendo, auguro che Barriera possa essere un ponte, verso un futuro più integrato ed umano.