Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeRiassaporando l’aria di casa
di Carla Sacchetto
Quando vengo in visita dai miei parenti, il quartiere mi saluta con spazi ariosi di alberi e cespugli verdeggianti. Prima di svoltare riesco a vedere a distanza il dolce profilo delle colline sovrastate dalla Basilica di Superga e, in primavera, sono accolta dai primi boccioli di oleandro o magnolia sugli alberi del giardinetto condominiale.
Cinquant’anni or sono, da un’altra zona di Torino, scomoda al lavoro di mio padre, mi sono trasferita in questo rione con i miei genitori e mio fratello. I terreni ove ora sorgono condomini e negozi, luoghi di commercio, ma anche occasioni di chiacchiere e socialità, erano occupati prevalentemente da spazi verdi.
Ricordo ancora, davanti alla nostra casa, il grande prato di allora – a ripensarci forse neanche così grande – che accoglieva anche una cascina già da tempo in disuso, attorno alla quale si poteva giocare, correre e raccogliere fiori in estate. Per raggiungere l’ospedale in auto occorreva fare un giro più lungo, ma a piedi era sufficiente attraversare un piccolo rigagnolo abbastanza stretto denominato bialera, uno dei numerosi canali di scolo che circondavano la città, e seguire un sentiero che terminava nell’area degli attuali giardinetti, ora gremiti di bambini che giocano e anziani che conversano.
Ovviamente non esisteva neanche l’attuale scuola media, costruita con edilizia prefabbricata per accogliere una schiera di baby boomers, proprio un anno prima della mia iscrizione. Ricordo con certezza che le sezioni superavano le lettere Q e R e che, non essendo sufficienti le aule, alcuni frequentavano di pomeriggio. La mia classe invece, imitando – per necessità – la modalità in uso nelle scuole britanniche, cambiava aula ad ogni lezione e occupava i locali lasciati liberi da coloro che si spostavano in palestra o nei laboratori di musica e applicazione tecnica – come si chiamava allora la materia – o, ancora, portando e disponendo le sedie in cortile attorno all’insegnante.
Dalla scuola, proseguendo per un paio di isolati verso la farmacia, si giunge alla piazza con i suoi alberi e le panchine, sulle quali, nella bella stagione, siedono i ragazzi del borgo. Su quei sedili mi sono intrattenuta anch’io, a volte, con gli amici, nei primissimi anni di liceo, a scambiare pareri sulle canzoni di Lucio Battisti o Fabrizio De Andrè o a discutere degli epocali avvenimenti di anni belli ma difficili, di mutamento e trasformazione.
Sporgendosi un poco, dalla piazza già si scorge in lontananza la facciata della chiesa con il piccolo campanile a vela e davanti alla quale, fino agli anni Settanta, era ancora attivo l’oratorio femminile, nei resti di una vecchia cascina su cui, solo in seguito, è stata costruita l’attuale scuola materna. Il teatro adiacente, unico cinema del borgo rimasto, era annualmente usato anche come sede della rassegna musicale chiamata Microfono d’oro. Ospitava esibizioni musicali dal vivo di giovani musicisti dilettanti, cui assistetti una volta e di cui ricordo ancora le suggestioni delle luci psichedeliche e del fumo degli effetti speciali.
Le vie laterali che si dipartono attorno all’edificio appaiono ancora oggi tranquille e silenziose, come ai tempi in cui erano la meta preferita di lunghe pedalate in bicicletta con le mie compagne di scuola. Per tornare indietro verso casa, prendendo una via parallela alla precedente, si raggiunge quella che oggi è segnalata su Google Maps come piazza Tre Cabine, in deroga alla locale toponomastica. Infatti, in questa parte del quartiere, i nomi delle vie ricordano tutti musicisti più o meno famosi, da Mercadante a Viriglio, Respighi, Paisiello, Cimarosa e molti altri.
Proseguendo nella direzione opposta si può invece raggiungere, dopo qualche isolato, la piazza del mercato. Essa ancora oggi è il centro della vecchia Barriera, quella storica, popolata negli anni Sessanta da persone provenienti dalle più diverse parti d’Italia, cui ha fatto seguito, nei successivi decenni, l’integrazione con una comunità più vasta di nuovi abitanti, arrivati da luoghi più lontani, specchio di una società variegata, multietnica e non priva di contraddizioni.
In tempi recenti, pur non abitando più nel quartiere, sono tornata con assiduità a trovare i miei genitori. Frequentando prevalentemente persone della loro età, ho avuto occasione di incontrare alcuni dei nuovi abitanti della zona, di origini e provenienze diverse che si recano tutti i giorni ad assistere gli anziani, occupandosi della loro quotidianità.
Tra le storie che ho avuto modo di conoscere o condividere, quella che più mi è rimasta impressa è legata al ricordo di una fotografia, collocata in una vetrinetta della casa di un tempo. In essa, dalla sua graziosa cornice, mi salutava l’immagine di mia mamma, già avanti negli anni, insieme ad una bella bambina sorridente – oggi sicuramente giovane donna – i cui genitori ci avevano fatto il gradito invito di partecipare, come loro famiglia italiana di riferimento, alla cerimonia della sua prima comunione.