Porta Palazzo stories
Porta Palazzo si racconta attraverso le voci delle personeIl banco dei salumi
di Daniela Calvo
Arrivando da corso Giulio Cesare e oltrepassando la strettoia, il banco di mia nonna si trovava nel piazzale a destra di corso Regina, oltre il mercato coperto. In quella parte di Porta Palazzo c’erano banchi di alimentari e banchi di tessili o abbigliamento, mia nonna aveva il posto nella prima fila che si affacciava sul corso e proprio davanti a lei ambulanti che non so bene cos’altro vendessero, perché la mia attenzione era tutta rivolta a grandi cannoli ripieni di crema e krapfen zuccherosi e lucidi d’olio.
Perché a un certo punto i miei nonni si dettero al commercio non mi è ben chiaro. Arrivati a Torino dalla Val Cerrina, mia nonna dapprima fu a servizio in case benestanti mentre mio nonno, bravo ciabattino, lavorava per un negozio di calzature della elegante via Roma. Fu a causa della malattia di mio nonno, che dopo un lungo periodo a letto ci lasciò a 60 anni? Sarà stato il consiglio di sorelle (ben sette!) e cognati, quasi tutti commercianti? Sarà stata la sensazione che il mercato di Porta Palazzo avrebbe garantito la sopravvivenza della famiglia? Visto lo sviluppo della città e gli immigrati meridionali giunti per lavorare alla Fiat.
Comunque la vita di mia nonna, nei miei ricordi, è strettamente legata al suo lavoro di ambulante di Porta Palazzo. Sul suo banco potevi trovare i classici prosciutti italiani, cotti e crudi, la mortadella, il salame crudo, e qualche specialità meridionale come la salsiccia piccante di Napoli e una buona rassegna di formaggi: il parmigiano, la fontina d’Aosta, il pecorino, lo stracchino, la gorgonzola, la mozzarella. Per soddisfare i clienti sempre di fretta, teneva scatolette di tonno e sardine e per i più piccoli blocchi di cioccolato (in realtà era surrogato) nero, bianco e con le nocciole, tagliato a fette secondo le richieste.
La giornata incominciava presto: tra le 4 e le 5 del mattino andava a recuperare il banchetto che veniva depositato per la notte e le festività in un magazzino di corso Regina Margherita non troppo lontano dalla piazza, passava dai grossisti per ritirare i prodotti mancanti, infine si avviava, tirandolo a mano, sulla piazza dove sarebbe stato pronto già prima delle 7 per i clienti mattinieri. La giornata finiva attorno alle due quando mia nonna dopo aver fatto il percorso all’incontrario, finalmente tornava e poteva dedicarsi alla casa e ai suoi hobby: lavorare all’uncinetto e giocare al Lotto.
Di lei mi rimangono copriletti e copritavola stupendi e qualche simpatico ricordo sulle sue vincite suggerite dai più disparati eventi. Mio padre, figlio unico, non riusciva ad aiutarla durante la settimana ma puntuale si presentava al sabato mattina e, indossato il grembiulone bianco, la matita sull’orecchio e inforcati gli ormai necessari occhiali, incominciava il lavoro del commerciante con lusinghe e chiacchiere volte alle massaie che si fermavano da loro.
La “retribuzione” che mio padre riceveva immancabilmente tutti i sabati consisteva in un bel pezzo di parmigiano, qualche formaggio, due o tre cacciatorini e, per me e mio fratello, un bel trancio di cioccolato! L’abitazione dei miei nonni era in zona. Dopo un paio di alloggi al Balon, si sistemarono su corso Regina in un alloggio di “ringhiera” vicino al Cinema Alcione. Dalla finestra vicino alla quale si sedeva con un nuovo lavoro di uncinetto in mano, poteva scorgere il grande mercato, il viavai della gente, i tram e le auto, non ancora così numerose.