Barriera stories
Barriera di Milano si racconta attraverso le voci delle personeIl mercato di piazza Forini
di Daniela De Prosperis
In tutti i quartieri e le città che ho visto nella mia vita non ho mai potuto fare a meno di visitare il mercato, perché in qualsiasi parte del mondo io mi trovi, lì mi sento a casa. Il rapporto con gli ambienti, le situazioni, le cose, le persone sono spesso segnati dalla “prima volta”: la prima volta in cui abbiamo fatto un’esperienza, abbiamo incontrato qualcuno e per me la “prima volta” del mercato è proprio il mercato di Piazza Foroni.
Prima mio nonno, poi mio padre con lui e poi i miei genitori insieme vi hanno gestito un banco di verdura. I miei primi ricordi riguardano mio nonno e mio padre e, non so perché, sono collegati a una sensazione di freddo intenso, di neve, tipici di quegli inverni con i ghiaccioli, che oggi non esistono più.
Vedo le mani di mio nonno e di mio padre muoversi veloci nel servire le clienti, le mani sono racchiuse in guanti di lana marroni, con le punte delle dita tagliate. Fra mio padre e mio nonno c’è una stufa aperta, di latta, in cui si vede ardere il fuoco. Ero piccola e vedevo le cose dal basso, vedevo le ruote del carretto, le gambe della gente, le ceste della verdura e quel cassettino di legno, dove venivano infilati i soldi, un tesoro prezioso, lo sapevo.
Sapevo che mio padre si alzava alle cinque di mattina e tornava a casa stanco e intirizzito, tanto che poi se ne andava a dormire per qualche ora nel pomeriggio e che mia madre, impiegata alla Fiat Grandi Motori, non c’era quasi mai a casa, proprio per guadagnare i soldi.
Per mio nonno e mio padre però, la vita al mercato non era solo un lavoro, ma soprattutto una passione, tanto che mio nonno vi lavorò fino a pochi mesi prima di morire e mio padre, anche dopo aver venduto la licenza, continuò ad andarci quotidianamente e gratuitamente, con la scusa di aiutare qualcuno.
Mio padre si vantava di saper scegliere bene la verdura e riteneva quello il cuore del suo lavoro, si trattava di avere i giusti fornitori ai Mercati Generali, ma non solo. Il babbo, almeno una volta alla settimana, caricava sulla sua Giardinetta blu metallizzata me e qualche mio amichetto o amichetta, poi si partiva per andare nelle cascine, dove venivano comperate le verdure raccolte negli orti.
Quando era al mercato lui era sempre sorridente, parlava con tutti, commercianti e clienti, scherzava, faceva battute, qualche volta lasciava il banco per andare a prendere il caffè con qualcuno o anche solo per fare due chiacchiere con altri ambulanti o con i proprietari dei negozi intorno alla piazza, li conosceva tutti.
Ho saputo, solo molto tempo dopo, che la piazza del mercato non si chiamava Foroni, ma Cerignola e che la Madonna davanti alla quale avevo una foto vestita da angioletto era la Madonna di Ripalta.
Mio nonno era molto credente, attivista della San Vincenzo. Un anno ricordo di essere stata vestita da angioletto, con un lucido abito di raso, ali e coroncina bianchi e un’intera banda con una processione di persone si è fermata sotto casa nostra ed io e il nonno ci siamo uniti al gruppo. Io fierissima, convinta che il nonno fosse una persona molto importante.
Raggiungemmo Piazza Cerignola appunto e lì fui immortalata nei miei panni di angioletto, su un palco allestito sotto la statua della Vergine, con tanti fiori e luci…
Erano gli anni dell’immigrazione dal sud ed io ero nata a Torino, da genitori torinesi e nonni tutti piemontesi, i nostri migliori amici di famiglia e vicini di casa provenivano dalla provincia di Foggia e già ero venuta in contatto con le orecchiette e con il fatto che c’erano Gesù Bambino e Babbo Natale. Quest’ultimo, con mia grande invidia, passava alla sera, mentre Gesù, da me, solo la mattina seguente.
Non nego che ci fosse qualche volta, da parte dei miei genitori, una certa diffidenza verso le persone che provenivano dal Sud, credo più per luogo comune che per un vero sentire, perché poi frequentavamo con affetto molte famiglie non di origine piemontese. Sul banco di mio padre, tuttavia, non comparvero mai i broccoli, le fave, le cime di rapa, i lampascioni, i cardoncelli, ma persistettero i porri, i ravanelli, i cardi, i topinambur, le cipolle e le barbabietole cotte al forno, i peperoni sotto raspo.
Le verdure del sud però, arrivarono comunque sulla nostra tavola, attraverso i doni che mio padre cominciò a ricevere, quando, senza pagamento, andò quotidianamente ad aiutare la famiglia a cui vendette la licenza, piuttosto inesperta del lavoro, una famiglia di origine calabrese.
In realtà lui era sempre felice di aiutare, ma anche di ridere, scherzare e certamente la cultura del sud era più comunicativa, più calorosa, e lui stava bene con i “meridionali”.
Quando mio padre trascorse gli ultimi giorni della sua vita ricoverato in ospedale, al suo capezzale c’era sempre una coda di persone. Noi siamo una famiglia poco numerosa, ma in quell’occasione sentimmo di non essere soli e che tutti gli amici del mercato gli volevano davvero bene. In quel momento seppi che mio padre aveva vissuto una vita piena, anche se non si era quasi mai allontanato dalla sua regione di origine, dal quartiere di Barriera di Milano, la Barriera d’l “EMME”, dove era nato e dove aveva sempre scelto di vivere.
Io invece, amo molto viaggiare, ho per lungo tempo abitato in Barriera di Milano e ora che me ne sono allontanata, continuo, appena possibile, a fare la spesa in piazza Foroni, dove, anche se molte persone sono per me sconosciute, c’è ancora qualcuno che dopo avermi fissato per un po’, dice: “Ma tu non sei la figlia di..?”. Ed io mi sento a casa, protetta e felice.