Borgo Rossini stories
Il quartiere si racconta attraverso le voci delle personeTrovare casa a Torino
di Federico Dainotti
Lo studente fuori sede lo sa, trovare il proprio posto, fisico e metaforico, in città immense come Torino è una delle sfide più grandi da affrontare. Non sempre si vince. Vengo catapultato a Torino nel 2016, più per coincidenze della vita che per volontà mia ed il primo anno lo passo in un monolocale di pochi metri quadrati in zona Porta Susa, briciola che lo spietato mercato degli affitti di stanze per studenti lascia a chi arriva a metà semestre.
Col tempo scopro ed apprezzo la bellezza di una città senza tempo, invecchiata nel migliore dei modi. Tuttavia, La Grande Bellezza che mi circonda, quella capace di mozzarti il fiato durante una passeggiata la sera in piazza Castello, spesso mi fa sentire spaesato e mi obbliga a pormi la domanda che mi accompagna e mi accompagnerà in questi anni di girovagare in cerca del mondo e della mia strada: «È questa casa mia?».
I mesi passano, la bellezza della città rimane, maestosa come sempre, ma io non riesco a dare una risposta alla mia domanda. Seppur trovandomi bene, grazie anche ad un gruppo di amicizie che va consolidandosi, sento di essere di passaggio, di essere un ospite con la valigia in mano, sempre pronto a partire.
Le cose iniziano a cambiare durante il mio secondo anno in città. Un tirocinio nell’associazione giusta mi fa immergere ed innamorare di tutte le contraddizioni che caratterizzano Torino. Porta Palazzo, Aurora, Barriera di Milano. Tutt’altra bellezza rispetto a quella dell’elegante centro. Quartieri in cui è impossibile non sentire la vita pulsare. Vita composta da migliaia di storie e lingue diverse provenienti da (almeno) quattro continenti differenti. Storie che spesso si incrociano e camminano insieme. E tra cui sento di poter camminare anche io.
Sento che ci sono quasi. Forse sono a casa.
Qualche mese più tardi, Rose, amica giramondo, scopre di dover partire per la Lituania e mi propone di subentrare al suo posto nella stanza di via Reggio, sopra la piazzetta triangolare di Borgo Rossini. Che poi piazzetta non è, bensì incrocio di 3 vie con nomi di altrettante città italiane di media grandezza (mi chiedo se chi scelse i nomi delle vie del borgo avesse altro da fare, vista la scarsa fantasia della toponomastica). L’appartamento cade un po’ a pezzi, io tentenno ma alla fine accetto. Il prezzo è probabilmente il migliore della città e la padrona di casa, venezuelana, olandese ed australiana allo stesso tempo, è ciò che di meglio ci si può aspettare. Il suo unico desiderio è che chi abita il suo appartamento possa sentirsi veramente a casa. I contratti di locazione e tutta la burocrazia del caso sono solo un qualcosa di secondaria importanza, da dover sbrigare soltanto perché necessari. Un tipo di persona che, per esperienza personale, si può definire in via d’estinzione tra i proprietari di case per studenti. Quando passa a raccogliere le bollette ci porta persino le birre. Qualche birra è analcolica visto che è convinta che uno dei coinquilini sia astemio. Anche se non è assolutamente vero noi non glielo facciamo mai notare, apprezzandone fino in fondo la gentilezza, e ci cuciniamo il pollo.
Mi innamoro del borgo fin da subito. Dei suoi lunghi viali alberati e silenziosi. Degli amari al Monomono, accompagnati dal sassofono di qualche jazzista statunitense. Del cioccolato della Perla. Della piccola ed accogliente libreria. Del Caffè Basaglia, piccola grande oasi d’umanità. Della Dora e della sua inquietudine.
Ma soprattutto della piazzetta (incrocio) triangolare. Ogni volta che torno verso casa attraversandola mi chiedo come diavolo sia finita lì. Sono quasi sicuro sia un ritaglio di qualche tranquillo paesino di provincia del Sud Italia, sistemato per ricordare a Torino quanto sia importante rallentare, fermare il tempo e mangiarsi un gelato seduti guardando la gente passare.
Torno dall’aperitivo alle Panche ed esco a prendere aria sul balconcino. I bambini della piazzetta stanno giocando la loro personalissima Serie A mentre i nonni discutono animatamente. Dall’alto non saprei dire se la discussione verta su aneddoti di tempi lontani o sulla partita di briscola appena conclusa. Guardo la luce rossa del tramonto di una giornata primaverile e sorrido, forse leggermente brillo dopo lo spritz della staffa. Finalmente ci sono, sono a casa.