Borgo Rossini stories
Il quartiere si racconta attraverso le voci delle personeQuando Torino finiva in corso Regina
di Giulia Madau
Non ho ricordi di Borgo Rossini prima di Lei. Per me Torino iniziava da piazza Bengasi o via Artom e terminava in corso Regina. Solo due volte ho superato quel limite invisibile, prima di conoscere Lei. Di quelle occasioni ricordo solo l’impressione che mi aveva dato quella che poi ho scoperto essere via Catania: una strada diversa da quelle a cui ero abituata, da città di mare, con alberi enormi che dominano la scena, la zona pedonale a dividere le corsie, con le panchine, i bambini che giocano e i nonni che li guardano.
Dopo mesi di incontri quasi casuali, tira e molla, e un primo appuntamento ai Giardini Reali sotto lo sguardo attento di una Mole illuminata, era giunto il momento di andare a prendere Lei a casa. Con la mia 600 gialla ho attraversato quel limite inconsapevole e ho scoperto una parte di Torino che ancora non conoscevo e che mi ha fatto innamorare quasi quanto la persona che ci abitava.
Torino finisce in corso Regina, le avevo detto una volta.
Ma poi…
Secondo appuntamento: due barbera al “bar dei cappelli”, in via Mantova, due vecchi labrador che facevano la guardia, racconti sui nostri nonni, le sue mani sui tavoli rigati, i riflessi ramati dei suoi capelli, un salutarsi che non finiva mai.
Terzo appuntamento: due nebbioli al Caffè Basaglia, sulla terrazza nonostante avesse piovuto da poco, le sue mani che giravano sigarette e i nostri sguardi che si cercavano tra i ballerini di tango nel locale, una breve passeggiata verso casa sua, nessuna voglia di salutarsi, il primo bacio che non finiva mai.
Da quella notte di quattro anni fa ho iniziato a frequentare molto spesso Borgo Rossini.
Gelati e sigarette sulle panchine di via Catania, bottiglie di vino da De Pepe, aperitivi alle Panche con i nostri amici, giornate di studio al Campus, piadine su corso Regio Parco, cene a casa e passeggiate verso Santa Giulia. Ma soprattutto l’attesa impaziente di vederla quando scendevo dal 18 in via Rossini e a passo svelto attraversavo corso Regina (quel bellissimo limite) e, sopra lo sferragliare del 16, con il traffico che non dava mai tregua e il brusio confuso della città, iniziavo a sentire la voce della Dora. Ricordo la gioia che mi infondeva attraversare il fiume. Ricordo albe e tramonti da quel ponte, le montagne in lontananza, la luce rosa o gialla che illuminava le case curve di largo Rossini. Ricordo che dovevamo alzare la voce per sentirci da lassù. Oltre la Dora c’è una ragazza che mi adora.
Da casa sua si vedevano la Mole e le montagne. Ci vivevano in cinque ed erano una strana famiglia di coetanei. Cinque persone nei primi vent’anni, che vivevano di studio, scherzi e desiderio di cambiare; persone sensibili con senso dell’umorismo e senso della giustizia. C’era un’anatra di plastica su una libreria, c’erano dei bonghi davanti al divano e appesi alle pareti fumetti e acquerelli, un gufo di ceramica sul balcone e un gatto bianco, apparso dal nulla in una giornata di maggio.
Dopo un paio d’anni di relazione, si è aggiunto un cane. Il nostro. O meglio, la nostra: Daisy.
La prima porzione di mondo che ha visto, oltre il canile in cui è nata e cresciuta, è stata Borgo Rossini, quello stesso Borgo che aveva visto i primi baci e le prime passeggiate mano nella mano dei due unici punti fermi nella vita di quella cagnetta insicura.
Andavamo a spasso, io e la mia Daisy spelacchiata e sottopeso, lungo la Dora, accompagnate dal boato del fiume. Guardavo le stagioni trascorrere sui rami sulle sue rive: gemme, foglie verdi, foglie gialle, rosse, marroni, rami nudi. Giocava con altri cani e correva su via Catania. Si bloccava, un po’ spaventata, e tirava verso casa, quando ci avvicinavamo alle Panche affollate. Però è stata felice, lì, proprio come noi.
«Verresti a vivere con me?» mi ha chiesto Lei, un giorno.
Avevamo finito l’università, ormai, e cercavamo un altro stile di vita. Sapevo che sarebbe arrivata quella richiesta, visto che stava cercando una casa senza coinquilini già da un po’. Abbiamo cercato dappertutto, ma non in Borgo Rossini e questo, lo ammetto, è colpa mia: avevo voglia di conoscere un’altra parte di Torino, io che avevo vissuto solo in periferia. Dopo mesi infruttuosi le ricerche si sono concluse e ci siamo trasferite in un altro quartiere.
Non ho nulla di cui lamentarmi, ma da quando vivo qui sento la mancanza del placido sottofondo della Dora, il verde delle sue rive, la luce rosa del tramonto su largo Rossini e l’ombra degli alberi su via Catania. E Lei della Mole alla finestra.
Forse, una volta superato quel limite, è difficile tornare indietro.