Porta Palazzo stories
Porta Palazzo si racconta attraverso le voci delle personeIl mercato resistente
di Laura Tori
Di Porta Palazzo ho ricordi lunghi, continui, ripetuti.
Ho sempre abitato poco lontano dal mercato ma l’abitudine settimanale alla spesa lì è attitudine relativamente recente, una quindicina d’anni; prima erano visite saltuarie.
Il primo ricordo tuttavia si colloca nella mia infanzia, trascorsa per molto tempo con un nonno partigiano comunista che mi parlava di orto, campagna, mucche che erano state parte essenziale della sua infanzia di inizio Novecento da ultimo nato di una famiglia di “marghè” (lattai). Spesso la domenica mattina nonno Vittorio mi portava a Porta Palazzo, dove sotto la tettoia si teneva un variopinto mercato di animali da compagnia e da cortile e dove restavo ad ascoltare le sue storie di conigli allevati in cantina in tempo di guerra, mentre mi perdevo tra i canti e i colori di canarini e cocorite. Una volta siamo tornati a casa con due pulcini e uno è rimasto con noi fino a diventare una gallina urbana di corso Vercelli: si chiamava Pinu.
Poi come per molti negli anni Ottanta e Novanta c’è stata l’ubriacatura del supermercato e dell’iperstore e i miei passaggi da Porta Palazzo si limitavano alle visite settimanali al Balon, alla ricerca di monili indiani e bicchierini da liquore spaiati. Il Balon è parte integrante di Porta Palazzo: è stato e sarà il luogo degli affari e delle truffe, ma non è così anche il Marché aux puces de Clignancourt?
Ricordo invece di aver letto da ragazza – con molta difficoltà – dei romanzi in piemontese di Luigi Pietracqua che raccontavano storie della mala intorno al mercato. Quelle storie sordide avevano mantenuto inalterato il loro fascino di vite ai margini e di gente bizzarra.
Nei miei anni in redazione a Radioflash ho ispezionato, prendendo appunti, gli scantinati delle macellerie della tettoia dell’Orologio per un servizio giornalistico. Insomma a Porta Palazzo ho voluto bene, sempre.
Da quando ci abito più vicino, a pochi passi da Borgo Dora, è diventato il mio mercato costante, dove, oltre alle certezze stagionali della tettoia dei contadini, trovo tutto quello che posso desiderare per le mie ricette.
Mi piace andare al mercato. Mi piace farmi spiegare come cucinare verdure o carni che non conosco. Mi piace stare attenta alle rare fregature. Mi piace guardare cosa comprano quelli che hanno la pelle di un colore diverso dal mio.
E poi ci sono le cose strane: il PalaFuksas che doveva essere la sede del mercato dell’abbigliamento, poi del Museo del cioccolato (!?), ha ospitato delle mostre surreali ed ora forse ha trovato la sua giusta destinazione con il Mercato centrale, così come finalmente l’ex caserma dei Vigli del Fuoco, diventata Combo. Per un po’ c’è anche stata una bellissima mongolfiera ancorata a terra che consentiva una vista meravigliosa sul mercato e sulla città, non c’è più: storie di licenze scadute, di malintesi, storie da balon.
Si parla ora di gentrification, si parla di snaturare il mercato, si dice che non sarà più quello che era, io credo che Porta Palazzo sia un mercato resistente e che ce la farà a restare quello che è: un luogo vivo e stra-ordinario.
Al mercato di Porta Palazzo fanno la fila, fanno la fila
le femmine da ragazzo fanno la fila, fanno l’andazzo.
E si lasciano indovinare sotto le gonne, sotto le gonne.
E si lasciano indovinare sotto le gonne, le gonne nere.
E sopra il molo del caricamento fanno la coda, fanno la coda
gli uomini da bastone fanno la coda sul cemento.
E si lasciano perquisire sotto le giacche, sotto le giacche.
E si lasciano perquisire sotto le giacche da ricucire.
Ma una mattina di luna d’inverno c’era la neve, c’era la neve
sulla piazza succede un inferno e tutti a chiedersi: “e come e dove”. Dalla coda del caricamento qualcuno grida, qualcuno grida
sulla piazza di Porta Palazzo fra le ragazze si rompe la fila.
E ce n’è una sdraiata per terra sopra la neve che svapora,
ce n’è una sdraiata per terra e tutte le altre le fanno corona.
E alle 7 e 45 era già nato era già fuori,
alle 7 e 45 l’hanno posato sul banco dei fiori.
Mi favoriscano un documento, dice la guardia appena che arriva
trafelata dal caricamento per vedere che succedeva.
Favoriscano un documento e anche qualcosa da dichiarare
questo è un caso di sgravidamento sul suolo pubblico comunale.
Ma documenti non ce ne sono e neanche qualcuno che dica niente,
solo la gente che tira e che spinge attorno ai garofani e alle gardenie.
Documenti non ce ne sono e quasi più niente da documentare,
solo che un giorno di luna d’inverno tutta la piazza ha voluto il suo fiore.
Ritorna la coda dal caricamento, torna la fila, torna l’andazzo
degli uomini da bastone, delle femmine da ragazzo,
che si lasciano perquisire sotto le giacche, sotto le giacche,
che si lasciano indovinare sotto le gonne, le gonne nere.
(Gianmaria Testa)