Porta Palazzo stories
Porta Palazzo si racconta attraverso le voci delle personeFotogrammi
di Margherita Prota (con Lorenzo e Carlo Chiminazzo)
Il mio primo ricordo è come un’immagine di un film in bianco e nero. Ero bambina e mio nonno Michele, che di solito mi portava ai giardini, quel giorno doveva comprare un cappello nuovo. Andammo a Porta Palazzo, dove c’era quello che si potrebbe definire “l’antenato” dei più moderni centri commerciali, con tante piccole boutique di abbigliamento e accessori “made in Italy”.
Negli anni ’90 il “Mercato coperto dell’abbigliamento” fu costretto a traslocare per consentire i lavori di ristrutturazione dell’edificio. Alcuni commercianti, con grande fatica, hanno resistito al trasferimento nel “Palatinum” che per dieci anni li ha ospitati nell’area compresa tra corso Giulio Cesare e corso Vercelli, alle porte della città.
Dopo un lungo cantiere, il restyling ha restituito ai cittadini una costruzione in vetro e cemento: il Palafuksas, che oggi ospita il “Mercato Centrale Torino” e fa bella mostra delle prelibatezze del territorio, attirando numerosi turisti da ogni parte del mondo.
Nel corso del tempo ho osservato la trasformazione: dal grigio delle macerie al blu della recinzione di plastica fino alla vitrea trasparenza, mescolata al verde bottiglia. Quell’area è stata per molto tempo un fotogramma da guardare ogni mattina attraverso i finestrini dell’autobus mentre andavo a scuola, poi all’università e, in tempi più recenti, al lavoro.
Girovagando tra palazzi storici e caratteristici ristorantini, nella vicina area pedonale, mi ritornano alla mente le passeggiate domenicali con mio padre e mio fratello per curiosare tra le bancarelle del “Gran Balôn”, lo storico mercato dell’antiquariato che, ancora oggi, si svolge la seconda domenica di ogni mese. Attiravano la nostra attenzione soprattutto i telefoni antichi e le bottiglie di vetro dalle forme “insolite”, che mia madre apprezzava particolarmente e amava esporre sul tavolino del salotto.
Rivedo anche i sabati dello shopping adolescenziale, quando con le mie amiche andavo alla ricerca di quei “particolari” jeans che si potevano comprare solo al “Balôn” con una banconota da ventimila lire…
Nella piazzetta Borgo Dora gli acquisti erano sempre accompagnati da un sottofondo musicale e, se si era fortunati, si poteva incontrare Anna, un’allegra signora, che si scatenava a ritmo di musica e riusciva a far sorridere tutti i passanti.
Davanti all’Arsenale della Pace, se chiudo gli occhi, mi sembra di rivivere le colorate feste carnevalesche, la passione per le auto d’epoca e di sentire i profumi del Natale tra le casette di legno del mercatino.
Tra la Scuola Holden e il Cortile del Maglio, il viaggio continua attraverso l’arte. Quella che un tempo fu la prima fabbrica delle polveri e delle armi, oggi si contraddistingue per la suggestiva architettura e per la sua trasformazione in centro di attività socio-culturali.
All’arrivo appare un luogo silenzioso, ma il ticchettìo dei passi attira l’attenzione per effetto della risonanza. All’uscita il suono diventa più naturale sui ciottoli della stradina che conduce verso via Andreis. Oltre il grande cancello, ecco una fila di persone davanti a un piccolo portone di legno. Alzando lo sguardo un’interminabile fila di finestre che si susseguono lungo tutta la strada e anche sulle vie intorno.
L’edificio, visto dall’alto sembra avere la forma di un cuore, ma per coglierne meglio l’essenza bisogna osservarlo con le spalle rivolte verso via della Consolata. La scritta “Divina Provvidenza” apre le porte della “Piccola Casa”, fondata da San Giuseppe Benedetto Cottolengo nel 1832.
La “missione cottolenghina”, sin dalle origini è sempre stata quella di accogliere i bisognosi e i malati che venivano rifiutati dagli altri ospedali, perché alcune patologie non venivano considerate dalla società dell’epoca. Per tale tradizione, si diffuse nel tempo la “credenza popolare” che il Cottolengo ospitasse prevalentemente disabili psichici e nel dialetto torinese venne coniata l’espressione “cutulengu” (diminutivo “cutu”) per indicare una persona stupida.
Ma entrando nell’Ospedale Cottolengo, in realtà, si respira un grande senso di umanità e di cura. Ho potuto constatarlo personalmente quando ebbi la “fortuna” di trascorrere nel reparto di “Santa Scolastica” (una santa che non conoscevo, ma che mi è capitato di invocare specialmente negli ultimi due anni, nel periodo di chiusura delle scuole…) le vacanze estive del 2001, “Ferragosto” compreso… Condividevo la stanza con una simpatica vecchietta di nome Petronilla, che aveva più o meno il quadruplo dei miei anni e non diceva una parola, ma di tanto in tanto faceva sentire la sua presenza con alcune esalazioni… Una vacanza indimenticabile, con romantiche cene a base di bollenti semolini e purè di patate, ma con la compagnia amorevole di mia madre che tutti i pomeriggi rimaneva affettuosamente accanto a me.
Oggi Porta Palazzo per me è il mercato dei contadini, con le loro voci, i colori della frutta e degli ortaggi, i profumi delle erbe aromatiche e i sapori autentici, ma sempre diversi in ogni stagione dell’anno.