Porta Palazzo stories
Porta Palazzo si racconta attraverso le voci delle personeRitratto di Tina, mia nonna
di Michela Pini
Mi chiamo Celeste Rizzoglio. Rizzoglio con due zeta, mi raccomando. Non voglio fare come certi miei cugini che per la vergogna si sono cambiati anche il cognome. Io non ho niente da nascondere. Ognuno risponde per le proprie colpe e non per quelle dei padri o delle madri o addirittura dei fratelli. Guardate me per esempio.
Sono nata settimina, ultima di quindici figli. Solo otto ne sono sopravvissuti, tre maschi e cinque femmine. Ero tanto piccola che mi hanno messo in una scatola da scarpe quando sono nata. Sono convinta che pensassero sarebbe diventata la mia bara, quella scatola. E invece no. Io avevo voglia di vivere da vendere, sono sopravvissuta, sono cresciuta e sono diventata quello che sono. Tutto da me. Mia madre è morta che avevo neanche dodici anni. Nessuno mi ha aiutato, eppure la mia famiglia, se non ricca, era benestante. Avevano un allevamento di polli, e poi la vigna, come tutti a Castiglione Tinella. Il paese del moscato. Colline e colline di vite di moscato. Il profumo e il panorama della mia infanzia. Il moscato lo bevo ancora, ma il pollo proprio non lo sopporto, neanche. Non ho avuto nemmeno la dote dalla mia famiglia. Quando mi sono sposata i soldi erano finiti, perché il mio fratello maggiore, Valentino, si era mangiato tutto al casinò di Sanremo. Noi a sgobbare tutto il santo giorno, e lui andava a fare il gran signore. Dopo si è sparato, l’ha fatta facile lui, e a noialtri non ci ha lasciato nulla. Se non i debiti.
Io per fortuna mi sono maritata con un bravo compagno di Torino e anche senza un soldo me la sono cavata. Da sola, appunto. Quando ho visto l’aria che tirava, me ne sono andata, tanto da sempre sapevo di non dovermi aspettare nulla, erano in sei prima di me e quattro erano maschi. Così ho ricominciato tutto a Torino con Giovanni che era un brav’uomo. Ho iniziato a vendere al mercato. Prima faceva i mercati fuori Torino. Quanta fatica, quante levatacce. Poi ho iniziato a lavorare a Porta Palazzo e qui mi sono fermata. All’inizio con il mio carretto cambiavo posizione ogni giorno cercando i posti vacanti e conquistandomi a poco a poco il posto fisso. Non so perché ma Porta Pila mi è entrata dentro. È come se fosse il cuore di Torino. Ci sono altri mercati, ma questo è unico. Da sempre un crocevia, il luogo di chi arriva, la piazza per eccellenza. Chissà, forse è per la posizione centrale, forse perché nato alle porte della città romana: “Porta Palazzo” la porta d’accesso al palazzo del re, del municipio, della città.
Per me è stato un punto d’arrivo. Ci si leva sempre all’alba e poi la fatica di spingere ogni giorno il carretto dal magazzino fino alla piazzola. Solo quando Giovanni non lavora, viene ad aiutarmi, il più delle volte con la pioggia e con il vento, con la neve e perfino con il gelo, deve fare tutto da sola.
L’unico pensiero quando mi alzo dal letto e che dopopranzo ci tornerò, al caldo, in pace. In mezzo è solo fatica. E poi spesso mi devo portare dietro anche la bimba perché non so a chi lasciarla. Una volta l’avevo avviluppata così bene nelle coperte che è scivolata addormentata giù dal carretto senza che me ne accorgessi. Per fortuna che della brava gente mi ha richiamata indietro pensando che avessi perso della merce. Invece era la bimba.
“Non mi manca niente se Dio Vuole” mi ripeto spesso, “ma poi cosa c’entra Dio, tutto quello che ho lo devo a me stessa e alla mia fatica “. Vendo biancheria intima, mutande, canottiere, reggipetti, calze da uomo e da donna, sottovesti pigiami e camicie da notte. Tutto di buona qualità. Ho la mia clientela e non mi lamento. Tutti le dicono che sono una commerciante nata. La verità è che quando sono dietro al banco sono felice. Incanto tutti con le mie storie e non perdo mai una vendita. Se mi manca una taglia, mi chino un attimo e zac via l’etichetta. “Voleva una quarantaquattro? Eccola”. Nessuno si è mai lamentato. Se la canottiera è un po’ più ampia non dà fastidio a nessuno. Anzi se la madama ingrassa, non ne deve comprare un’altra.
Mi piace il mercato. Soprattutto mi piace l’idea di farne parte. Come un corpo composto di tante parti. Tante voci, tanti colori, tanta gente. Quando riesco, passo fin dai contadini e compro le primizie per Rosella. La prima uva di moscato, le castagne, le prime ciliegie e le fragole. Amo arrivare a casa con il cestino pieno di delizie e vedere lo sguardo curioso di Rosella quando apre l’involto per scoprire cosa le ho portato. A volte mangiamo soltanto il pane e la frutta, se Giovanni non c’è. E tre gianduiotti come gateaux.
Del mercato mi piacciono gli odori e i colori a ogni stagione diversi. A ogni stagione il suo colore, e a ogni colore una primizia. Questo mi resta della mia infanzia contadina, l’amore per i primi frutti che ogni stagione regala. Quando assaggio il primo moscatello, chiudo gli occhi e assaporo ogni chicco come se fosse l’ultima cosa che faccio su questa terra: in quel sapore sento tutta la nostalgia per la mia terra, la mia infanzia e mia sorella Gigiota, ma è solo un attimo. Apro gli occhi e Porta Pila è attorno a me.